Uno studio ha esaminato l’associazione degli inibitori della pompa protonica con gli esiti ossei ( fratture e densità minerale ossea ).
L’analisi prospettica ha incluso 161.806 donne in post-menopausa di età compresa tra 50 e 79 anni, senza storia di frattura dell’anca, arruolate nei Women's Health Initiative Observational Study and Clinical Trials, e con un follow-up medio di 7.8 anni.
Sono state analizzate 130.487 donne per le quali erano disponibili informazioni complete.
Le principali misure di esito erano le fratture ( anca, spina dorsale, avambraccio o polso, e fratture totali ) e per un sottogruppo ( 3 siti di densitometria ), il cambiamento della densità minerale ossea a 3 anni.
Nel corso di un follow-up di 1.005.126 persone-anno, sono state osservate 1.500 fratture dell’anca, 4.881 di avambraccio o polso, 2.315 spinali e 21.247 fratture totali.
L’hazard ratio aggiustato e multivariato per l’uso corrente di inibitori della pompa protonica è stato di 1 per frattura dell’anca, 1.47 per quella spinale, 1.26 per quella di avambraccio o polso e 1.25 per fratture totali.
Le misurazioni della densità minerale ossea non hanno mostrato differenze tra utilizzatori e non-utilizzatori di inibitori della pompa protonica al basale e l’uso di inibitori della pompa protonica è risultato associato solo a un effetto marginale sul cambiamento nella densità minerale ossea a 3 anni a livello dell’anca ( P=0.05 ), ma non in altri siti.
In conclusione, l’uso di inibitori della pompa protonica non è risultato associato a fratture dell’anca, ma leggermente associato a fratture spinali, di avambraccio o polso e totali. ( Xagena2010 )
Gray SL et al, Arch Intern Med 2010; 170: 765-771
Farma2010 Gastro2010 Endo2010